lunedì 29 novembre 2010

Palmira (parte II)


Anche la vitalità della nuova cultura cristiana si spense nel 634, con la definitiva conquista da parte degli Arabi. La città, oggetto di ricerche e scavi archeologici sin dagli inizi del XX secolo (da segnalare la missione tedesca che operò dal 1902 al 1917, poi quelle francesi, siriane, svizzere e, a partire dal 1959, la missione polacca diretta da K. Michalowski), presenta un tessuto urbano irregolare, caratterizzato da nuclei e quartieri che si sviluppano in fasi cronologiche successive, assumendo orientamenti forzatamente divergenti.


Una grande via colonnata costituisce da una parte un tentativo di regolarizzazione di un complesso per il resto molto slegato, dall’altra una continuità scenografica alla giustapposizione paratattica dei monumenti lungo il suo percorso. La “platea” (lunga 1100 metri, con una carreggiata larga 11), caratterizzata da due file di colonne recanti mensole destinate a sorreggere statue di personaggi illustri, non si profila come un tracciato rettilineo, ma si suddivide in almeno tre snodi piuttosto netti che sono dissimulati da due monumenti: un tetrapilo e un arco a pianta triangolale con funzione a cerniera.


Mentre il primo, un monumento quadrifronte composto da 16 colonne in granito ripartite su quattro pilastri quadrati, aveva una funzione prevalentemente decorativa, l’arco monumentale a tre fornici, di età Severiana, costituiva, grazie alla sua pianta triangolare, un geniale espediente che così ideato consentiva al monumento di presentare una facciata perpendicolare a entrambi i segmenti divergenti della “platea”. Nel tratto mediano della via colonnata, compreso fra il tetrapilo e l’arco, si distribuivano gli edifici pubblici più rappresentativi: L’agora quadrata, il teatro, il tempio di Nebo (divinità del pantheon babilonese, assimilata ad Apollo) e le terme di Diocleziano.


Dall’arco Severiano, seguendo il tratto sudorientale della platea (rifatto a partire dal 200 d. C. e forse mai portato a compimento) si giungeva al grande santuario di Bel, costituito da un ampio “temenos” porticato di forma quasi quadrata (250 metri per 210) che racchiudeva al centro un tempio periptero con  otto colonne in facciata. L’edificio di culto, datato al 32 d. C. e dedicato al dio supremo Bel (più tardi assimilato al Giove), costituisce un interessantissimo ibrido in cui coesistono elementi architettonici di tipo classico, come le colonne corinze e i due frontoni, unitamente a rielaborazioni derivanti da più antiche tradizioni mesopotamiche.


I frontoni stessi, che nei ordini classici, come parte terminale di un tetto a spioventi, hanno funzione strutturale, svolgono in questo caso esclusivamente un ruolo ornamentale, dal momento che la copertura del tempio era a terrazza.
A quest’ultima, su cui venivano celebrati peculiari rituali di culto, era possibile accedere tramite una serie di scala a chiocciola poste al interno della cella. Influssi orientali si possono cogliere nella scelta di collocare l’accesso alla cella non su un lato breve, come è consuetudine, bensì su uno dei lati lunghi del tempio, nonché nell’originale trabeazione sovrasta da una fila di merli dentati e nelle presenza all’interno della cella di due cappelle (“thalamoi”) contrapposte.


Di età adriana era invece il tempio di Baalshamin, inserito in una preesistente santuario di tipo orientale, mentre il tempio di Atena e Allat, ubicato nel settore occidentale della città, laddove sorgerà il campo militare di Diocleziano, rappresenta un ennesimo esempio di assimilazione di una divinità di origine orientale con una del pantheon greco-romano.
Al culto dei morti e all’arte figurativa si legano altri monumenti caratteristici di Palmyra: le tombe a tempio, a torre o a ipogeo, all’interno delle quali i numerosi loculi erano chiusi da lastre scolpite, le cosiddette stele palmirene, in cui spesso appaiono raffigurate scene di banchetto funebre, con il defunto fra i suoi familiari. Frequenti sono le rappresentazioni di personaggi vestiti alla romana, ma più sovente, soprattutto nel caso di figure femminili, vengono preferiti abiti e acconciature di tipo orientale.


Fonte: Le città perdute
Testo: Ricchardo Villicich

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