martedì 21 dicembre 2010

Petra – La città nascosta dei Nabatei (II.)


Dal fascino arcano e inquitante, la gola è perennemente immersa nella penombra: la roccia multicolore appare modellata dall’incessante azione erosiva del vento e del torrentello, la cui portata aumenta paurosamente durante i temporali estivi. In vari punti la fenditura si apre a formare alcuni caravanserragli e spazi riservati un tempo all’accampamento delle carovane in arrivo; a circa metà strada, in un punto in cui il Siq cambia repentinamente direzione, ecco profilarsi il Khasnè, un tempio funerario intagliato nella montagna che non ha eguali al mondo.


Il contrasto tra il tenebroso Siq e la facciata delicatamente rosa del monumento è impressionante, la simmetria della facciata assoluta, le proporzioni di gusto squisito. Roberts ne rimase estasiato: “… non so dire se io sia rimasto più sorpreso dall’aspetto di tale costruzione o dalla sua posizione straordinaria. Sorge, intatta qual era, in un’immensa nicchia della roccia e il tenue colore della pietra, assieme al perfetto stato di conservazione dei minuscoli dettagli danno l’impressione che sia stata determinata di recente”.
La facciata, alta quaranta metri e larga venticinque, è divisa in due piani, di cui quello inferiore è costituito da un portico a frontone, con sei colonne corinzie alte dodici metri e mezzo. Tra le due coppie di colonne esterne vi sono due colossali gruppi equestri realizzati ad altorilievo, ormai molto consunti.



Il disegno del fregio consiste in una serie di grifoni affrontati, mentre il timpano, al cui centro stava un’aquila ad ali spiegate, è completato da una decorazione a volute; negli angoli dell’architrave due leoni hanno funzione di acroteri. Il secondo piano, di area eleganza, è diviso in tre elementi: al centro sta una “tholos”, quasi un tempietto rotondo in scala ridotta, tipico dell’architettura locale, con un tetto conico sormontato da un’urna. È proprio da quest’ultima che l’edificio ha preso il suo nome arabo, cioè il “Tesoro”; i beduini pensavano infatti che all’interno vi fossero celate immense ricchezze e nel tentativo di impadronirsene indirizzarono più volte il fuoco dei loro fucili contro essa, con l’intenzione di spezzarla.



La “tholos” è affiancata da due semifrontoni, ciascuno sorretto da quattro colonne angolari. Nelle nicchie vi sono rilievi rappresentanti figure femminili, oggi purtroppo assai erose; quattro gigantesche aquile, infine, fungevano da acroteri.l’interno dell’edificio è costituito dal grande vestibolo, dal quale per mezzo di otto scalini si entra nella stanza centrale: questa sala è un grande vano cubico di dodici metri di lato, affiancato su tre lati da stanze di minori dimensioni. Proprio la disposizione dei locali interni e la mancanza di un altare, oltre alla posizione del monumento nella stretta forra che certo non avrebbe reso agevoli le funzioni religiose, fanno supporre che il Khasné fosse una tomba monumentale piuttosto che un tempio, come si era creduto in passato.


A proposito dell’annosa questione su quale fosse stata la reale funzione delle strutture allineate lungo la valle, occorre dire che approfondite campagne di scavo e studi accurati hanno permesso di appurare che gli usi a cui erano adibiti gli edifici rupestri erano molteplici e che alcuni di essi erano vere e proprie abitazioni, spesso costituite da una grande stanza con colonne e nicchie sui lati e una sorta di triclinio rialzato nel centro; alcune di queste case sono ornate con affreschi a tralci di vite e a motivi floreali. Peraltro, le tipologie costruttive presenti a Petra sono alquanto eterogenee e ciascuna di esse testimonia di un diverso periodo storico, nonché di un differente influsso culturale.


I primi monumenti rupestri della città nabatea presentavano una facciata liscia, molto semplice, sormontata da una o due file di “merli” a scalini, nella quale si apriva inferiormente una porta, talvolta inquadrata da semicolonne; questo tipo di sepolcro, i cui esemplari più antichi si possono far risalire al III secolo D. C., costituiva un adattamento tipicamente nabateo di modeli diffusi nella vicina Siria. Durante i due secoli successivi si svilupparono modelli più complessi: all’origine di una simile novità stava l’adozione su larga scala di motivi architettonici ellenistici, quali il fregio, l’architrave e la lesena. Nel fratempo, era stato elaborato un particolare tipo di capitello, detto appunto “nabateo”, e si andava manifestando un sempre più largo impiego di elementi strutturali a scopo puramente ornamentale.
Il carattere estremamente provinciale dell’arte locale, sviluppatasi in una regione assai remota rispetto al bacino mediterraneo, in pieno deserto, giustificava tuttavia la persistenza di elementi autoctoni e ormai obsoleti nella decorazione, come le rosette e gli animali affrontati araldicamente.


Nella seconda metà del I secolo d. C. comparve infine un nuovo tipo di facciata, che conobbe il suo massimo sviluppo nei decenni successivi. Al  notevole arricchimento del repertorio figurativo a base architettonica si accompagnò allora quella ricerca di grandiosità scenografica che caratterizza la produzione di influenza romana: le facciate rupestri raggiunsero proporzioni colossali, con ordini di colonne sovrapposti a imitare prospetti di templi e quinte teatrali.


A questo periodo di grande fioritura appartengono la Tomba del Palazzo e la contigua Tomba Corinzia, simile al Khasné ma con un piano intermedio più basso interposto tra il frontone e la tholos.


All’epoca ellenistico-romana, così feconda di realizzazioni straordinarie e che potremmo definire “barocche”, appartiene anche lo sbalorditivo edificio noto come el Deir, o Convento. Roberts lo raggiunse nella mattinata dell’8 marzo, accompagnato da un drappello di uomini armati: inoltratosi in una profonda gola lungo un sentiero molto accidentato che ben presto si trasformò in una ripida scalinata, dopo aver superato un dislivello di oltre trecentocinquanta metri, raggiunse finalmente quello che forse è uno dei monumenti meno visitati della città nabatea ma pur tuttavia il più imponente.


Ricavata interamente nella viva roccia, la facciata del tempio è larga quarantanove metri e alta trentanove; la decorazione è simile a quella del Khasné, ma più elaborata. Il piano inferiore è delimitato da pilastri e ha otto semicolonne che inquadrano due nicchie ad arco sui lati e una porta a frontone al centro. L’ingresso introduce in una stanza quadrata, nella cui parete di fondo era scavato l’altare, inserito tra due scale.



Nel piano superiore, la facciata presenta, oltre alla tholos centrale e al frontone spezzato, due pilastri agli angoli, mentre un bel fregio dorico attraversa tutta la fronte. Roberts rimase ammaliato dal superbo spettacolo che si godeva da quella balconata di roccia, protesa sulla valle di el Ghor: “Da qui il panorama è meraviglioso, lo sguardo abbraccia la vallata, il Monte Hor -  coronato in vetta dalla tomba di Aronne – e l’intera gola montana, che si insinua in mezzo a picchi rocciosi dall’aspetto vertiginoso; l’antica città, in tutta la sua ampiezza, si estende lungo la valle”.


Fonte: Meraviglie dell'antichità, Splendori delle civiltà perdute

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