martedì 1 febbraio 2011

Delfi – Il santuario dei Greci


A 160 chilometri a nord-ovest di Atene, nella Focile, sorge uno dei più importanti santuari del mondo antico. I Greci scelsero, per quello che definirono l’”ombelico del mondo”, un sito di incomparabile bellezza, adagiato lungo le pendici del monte Parnaso. Qui si riesce a comprendere davvero il senso di quell’intenso equilibrio che, nel mondo classico, veniva a instaurarsi tra le manifestazioni della natura e quelle dell’uomo, mediate dalla sfera del sacro.



E proprio a Delfi, luogo che doveva manifestare al mondo intero l’unità culturale e religiosa della grecità. La città fu sede di culto fin dal periodo miceneo, e cospicue testimonianze di doni votivi (tripodi e statuette in bronzo) di età geometrica documentano l’importanza che il santuario doveva rivestire in un’età così antica.
L’importanza sottolineata anche dalla tradizione mitologica.



È qui, infatti, che la Terra, Gea, insieme alla propria figlia Temi, veniva venerata in quanto profetessa oracolare; essa custodiva, in una fenditura del terreno, suo figlio, il serpente Pitone. Questi venne ucciso da Apollo, che si impadronì del luogo e apparve nelle sembianze di un delfino a marinai cretesi, i quali, condotti a Delfi, divennero i primi sacerdoti del nuovo culto. In ricordo della vittoria di Apollo e in onore del serpente sacro ogni quattro anni si tenevano i giochi Pitici. La leggenda vuole che anche Eracle ebbe a che fare con Delfi; fu qui che si scontrò con Apollo per il possesso del sacro tripode. Ma è soprattutto nell’VIII e nel VII secolo a.C. che il santuario assunse un ruolo di grandissimo prestigio nel mondo greco, tanto da divenire tappa obligata per ogni comunità in procinto di salpare alla volta della fondazione di nuove colonie e che volesse un responso favorevole dal dio.



L’amministarzione del santuario fu assunta da una lega di dodici popoli (Anfizionia), che si assunse l’onere della proxenia (diritto di concedere l’ospitalità agli stranieri) e della promantèia (diritto di accedere all’oracolo). L’importanza del controllo del santuario ci è rivelata dallo scoppio di una prima ‘guerra sacra’ agli inizi del VI secolo a.C.., che condusse alla columità. Ma, ancora una volta, fu Apollo stesso, aiutato dall’eroe locale Phylakòs, a salvare il santuario dagli invasori.
La vittoria sui Persiani da un lato, e quella dei Greci di Sicilia sui Cartaginesi dall’altro, fornirono l’occasione ai vincitori per reprimere il santuario, a scopo celebrativo, di ricchissime offerte votive e di edifici sacri eretti grazie ai bottini di guerra.



Una seconda ‘guerra sacra’ per il controllo del santuario ebbe luogo nel 448 a.C. (vincitori saranno i Focidesi) mentre una terza, nel 356 a.C., sarà vinta dal nuovo protagonista della storia greca del IV secolo, Filippo II di Macedonia. L’età ellenistica registra un declino del peso politico del santuario, inversamente proporzionale alla continua esplosione di dediche a opera dei sovrani delle dinastie regnanti nel Mediterraneo, affiancate – dopo una minaccia di invasione di Galati, provenienti dal nord nel 279 a.C. – da quella del generale romano vincitore dei Greci a Pidna (168 a.C.), Lucio Emilio Paolo.
In età imperiale Delfi vivrà nel ricordo del suo passato splendore, per rimanere oggetto di attenzione erudita da parte degli intellettuali del tempo, o di interventi di restauro degli imperatori filelleni, soprattutto nel II secolo d.C.



Dopo aver visitato il santuario inferiore, quello di Marmarià – dedicato ad Atena Pronàia (“colei che precede il tempio di Apollo”) – non appena si attraversa l’ingresso del santuario si può rendere subito conto di cosa significava per le ‘poleis’ greche, osservando la grande quantità di basamenti di statue che affiancano la Via Sacra, rivaleggiare tra loro a colpi di opere d’arte. A destra si trova la base della statua di un toro donata dai Corcinesi e subito dopo il portico dei Lacedemoni che, eretto per celebrare la vittoria sugli Ateniesi a Egospotami nel 405 a.C., conteneva ben 39 statue di bronzo disposte su due file. Di fronte alla base del monumento degli Arcadi, che commemorava la vittoria sugli Spartani nel 370 a.C., c’era l’opera di Fidia, a ricordo della battaglia di Maratona, seguito da una serie di altri donarii, fra cui il Cavallo di Troia (dedicato da Argo per una vittoria su Sparta) e la grande esedra del monumento degli eroi  di Argo, che illustrava il mito dei Sette contro Tebe e quello degli Epigoni in funzione autocelebrativa, o il gruppo statuario dei Tarantini che celebrava la vittoria sui Messapi del 473 a.C.



La lista potrebbe continuare a lungo (è il periegeta Pausania che ci descrive queste opere, oggi perdute, di qui restano solo le basi) se la nostra attenzione non venisse attratta dalla serie dei circa venti ‘thesauròi’, nome con cui si indicano i tempietti entro cui ogni città custodiva le preziose decime donate ad Apollo.
Ecco, fra gli altri, le fondazioni del tesoro dei Siconi, di quello dei Sfinii (il cui frontone, parzialmente conservato costituisce uno dei capolavori della scultura arcaica), di quello dei TEbani, e ancora il tesoro degli Ateniesi, oggi ricostruito, le cui metope narrano le imprese di Ercole e di Teseo.



Tralasciando i resti di alcuni antichissimi edifici sacri, si giunge di fronte all’impressionante muraglione (lungo 90 metri) che sorregge la terrazza del tempio di Apollo, realizzato in opera poligonale, tutto ricoperto da una miriade di iscrizioni. Dopo aver superato il portico degli Ateniesi (che conteneva gomene e prue di navi prese ai nemici) e un’importante serie di colonne votive, si sale sulla terrazza del tempio più importante del santuario, quello di Apollo, i cui resi attuali appartengono alla ricostruzione del 373 a.C. di ordine dorico, conteneva sul retro il vano (àdyton) in cui la Pizia – la sacerdotessa di Apollo – emetteva i suoi oracoli, dopo essere caduta in estasi bevendo l’acqua della sorgente Kassòtis e masticando foglie di alloro. Ispirata da Apollo, sceglieva una fra le risposte possibili ai quesiti che le venivano posti, proclamandosi favorevole o contraria in modo furbescamente ambiguo, cossichè era necessario ricorrere all’interpretazioni dei sacerdoti.
Come ogni santuario, anche Delfi era dotato di un teatro e di uno stadio, sorti in spettacolare posizione panoramica ai limiti del recinto sacro (tèmenos), il cui attuale stato risale agli interventi di età ellenistica e romana.  


L'omphalos (V secolo a.C.) era la pietra funeraria del dio Pitone ucciso da Apollo.

1 commento:

la giraffa e la papera ha detto...

Grazie delle info. Utilissime!

@la Giraffa@

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