martedì 27 settembre 2011

Duomo di Firenze - Basilica di S. Maria del Fiore


L’importante mole del Duomo offre al primo ed emozionante colpo d’occhio un’immagine appartenente unitaria, mentre in realtà è il risultato di numerosi interventi susseguitisi nel corso dei secoli. Quarta chiesa della cristianità per dimensioni (153 m di lunghezza, 39 di larghezza alle navate e 90 al transetto) dopo la Basilica di S. Pietro a Roma, la Cattedrale londinese di St. Paul e il Duomo di Milano, la basilica fu commissionata ad Arnolfo di Cambio “affinché l’industria e la potenza degli uomini non inventino, né possano mai intraprendere qualcosa di più grande e di più bello”.


Sul progetto di Arnolfo, avviato nel 1296 per sostituire la precedente Cattedrale di S. Reparata, intervennero via via Giotto, Andrea Pisano e l’architetto fiorentino Francesco Talenti. Solo nel 1421 fu completata la parte absidale, con il tamburo predisposto a sostenere la cupola, che Filippo Brunelleschi avrebbe terminato 15 anni più tardi. Fu necessario un ulteriore decennio per vedere ultimata la lanterna, che il Verrocchio coronò con la grande sfera sormontata da una croce di bronzo nel 1468, a 172 anni dall’apertura della fabbrica.

ESTERNO DI S. MARIA DEL FIORE – La facciata, realizzata in parte da Arnolfo di Cambio, fu abbattuta nel 1587 perché ritenuta sorpassata, il prospetto attuale risale alla fine dell’800. Sul fianco destro spicca, prima della tribuna, la tardo-trecentesca porta dei Canonici, in stile gotico fiorito.

La parte posteriore si presenta come un movimentato insieme di absidi e absidiole, coperte da semicupole e contraffortate  da archi rampanti: la vista migliore, davvero indimenticabile, si ha dall’angolo tra le vie del Proconsolo e dell’Oriuolo. L’alto tamburo ottagonale è in parte coronato da un ballatoio la cui costruzione fu interrotta su suggerimento di Michelangelo, che l’aveva definita “gabbia da grilli”.

La grande cupola ottagonale di Brunelleschi, la più ardua e audace impresa architettonica del ‘400, si slancia nel cielo a completare la costruzione. La particolare difficoltà dell’impalcatura, conseguente alle dimensioni della cupola (circa 42 m di diametro), fu genialmente risolta con l’introduzione da parte dell’architetto di una tecnica maturata studiando le cupole d’epoca romana, che non prevedevano il ricorso alle armature di legno.  

Sul fianco sinistro si apre per prima l’incantevole porta della Mandorla, detta così per l’elemento contenuto nella cuspide gotica con l’altorilievo dell’Assunta, opera di Nanni di Banco (1414-21). Nella lunetta compare un mosaico (Annunciazione) realizzato intorno al 1491 da un cartone di Domenico e Davide Ghirlandaio.

OPERE D’ARTE IN S. MARIA DEL FIORE – L’interno della basilica, a croce latina, è diviso in tre lunghe navate scandite da poderosi pilastri, che trasmettono un effetto di austera grandiosità.

 Il Duomo di Firenze è la chiesa italiana più ricca di vetrate antiche: se ne contano 44 su 55 finestre. Nella lunetta del portale centrale, il trecentesco mosaico dell’Incoronazione della Vergine è attribuito a Gaddo Gaddi.

 Sulla destra, la tomba di Antonio Orso, vescovo di Firenze, si deve a Tino di Camaino (inizi XIV secolo).

Sopra la crociera, la spettacolare cupola è interamente ricoperta dall’affresco del Giudizio universale di Giorgio Vasari e Federico Zuccari (1572-79), in basso sono poste otto statue cinquecentesche di apostoli. Il recinto ottagonale del coro, in marmo circonda l’altare maggiore di Baccio Bandinelli, sovrastato da un Crocifisso di Benedetto da Maiano (1497).

Attorno alla corciera si aprono le tre tribune del transetto e del presbiterio. Fra la tribuna destra e quella centrale, la porta della sagrestia vecchia reca un’Ascensione di Luca della Robbia (1450 circa).

Sotto l’altare della tribuna centrale si trova l’arca di S. Zanobi, capolavoro di Lorenzo Ghiberti (1442). Nella lunetta della sagrestia delle Messe si ammira un’altra terracotta (Risurrezione, 1444) di Luca della Robbia, cui si deve anche la splendida porta in bronzo (1445-69):

la mattina del 26 aprile 1478 trovò qui scampo Lorenzo il Magnifico, mentre il fratello Giuliano cadeva ucciso nell’agguato teso loro dai Pazzi.

Nella 4° campata della navata sinistra si trova la famosa tavola di Domenico di Michelino (1465) raffigurante Dante e i suoi mondi.

Nella 3° e nella 2° campata giganteggiano i cosiddetti monumenti equestri dedicati a Giovanni Acuto e a Niccolò da Tolentino, condottieri dell’esercito fiorentino, affrescati rispettivamente da Paolo Uccello (1436) e da Andrea del Castagno (1456).

Si scende quindi, dalla 2° campata della navata destra, ai resti (IV-V secolo) della Cattedrale di S. Reparata, impropriamente indicati come “cripta”. Le rovine furono riportate alla luce durante gli scavi iniziati nel 1966, che rivelarono anche interessanti reperti romani e paleocristiani.

Da una porticina in fondo alla navata sinistra, 463 gradini salgono alla cupola: dopo una sosta sul ballatoio del tamburo, con suggestivi scorci sull’interno del tempio, inizia la parte più impegnativa dell’ascesa, che termina al ballatoio sommitale: dai suoi 91 m d’altezza si può ammirare un magnifico panorama di Firenze.

CAMPANILE DI GIOTTO – Così chiamato perché da lui progettato, innalza alla destra del Duomo i suoi 84 m di altezza, progressivamente alleggeriti da bifore e trifore e rivestiti di marmi policromi. La base, quadrata (m 14.45 per lato), è rafforzata agli angoli da contrafforti ottagonali. Giotto avviò la costruzione della torre nel 1334, ma tre anni dopo, alla sua morte, ne era stato realizzato solamente il basamento. La direzione dei lavori passò ad Andrea Pisano, cui si devono il piano con le feritoie e le nicchie per le statue, quindi a Francesco Talenti, che portò a compimento l’opera nel 1359.

Parti integranti della struttura, e non semplici elementi decorativi, vanno considerati sculture, rilievi e statue, i cui originali sono conservati nel Museo dell’Opera di S. Maria del Fiore. Nelle formelle del basamento sono illustrate, nella prima fascia le attività umane (originali di Andrea Pisano e di Luca della Robbia), nella seconda i Pianeti, le Virtù, le Arti liberali e i Sacramenti (secolo XIV).

Salendo i 414 gradini di una scala a spirale si raggiunge la terrazza posta sulla sommità del campanile, con straordinaria visione ravvicinata dalla cupola brunellaschiana e grandiosa vista dell’intera città.

UNA CONGIURA DA “PAZZI” – Se la tradizione storica l’ha tramandata come congiura, i mezzi d’informazione d’oggi parlerebbero di tentato golpe: l’intento della famiglia Pazzi, appoggiata dall’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati e da Gerolamo Riario, potente nipote di papa Sisto IV, era infatti di porre fine alla signoria dei Medici. Il piano scattò la mattina del 26 aprile 1478, domenica di Pasqua, durante la celebrazione della messa in S. Maria del Fiore: nel mirino dei congiurati erano Lorenzo de’ Medici e il fratello Giuliano. Questi cadde sotto i fendenti dei sicari, ma il magnifico riuscì a trovare scampo nella sagrestia. La notizia dell’attentato, avvenuto davanti a una folla strabocchevole di fedeli, corse di bocca in bocca per tutta la città, i cui abitanti si schierarono senza esitazioni a favore dei Medici, propiziando la cattura dei congiurati e la loro condanna all’impiccagione. Diametralmente opposta fu la reazione del pontefice, che scomunicò Lorenzo e tutte le magistrature cittadine, scagliando il proprio interdetto su Firenze. Tali provvedimenti scatenarono una dura presa di posizione da parte del sinodo dei vescovi e dei prelati della Signoria medicea.

BATTISTERO DI S. GIOVANNI – Esprime l’ideale del romanico fiorentino, al quale guardarono tutti i grandi innovatori dell’architettura cittadina, da Arnolfo di Cambio a Brunelleschi e a Michelangelo. Pur non derivando da un tempio pagano, come voleva tradizione medievale, il Battistero è uno tra i più antichi edifici religiosi di Firenze, eretto tra l’XI e il XIII secolo su costruzioni di epoca romana. Fino all’800 ospitava l’unico fonte battesimale della città: “il fonte del mio battesimo”, come ricordava Dante ma poteva dire ogni fiorentino. L’edificio a pianta ottagonale con rivestimento esterno a motivi geometrici in marmo bianco e verde, ha una trabeazione continua che divide il piano inferiore, scandito da lesene e colonne, da quello superiore, a semicolonne ottagonali che sostengono tre archi a tutto sesto. Un terzo ordine, di epoca posteriore, nasconde la cupola. L’abside, rettangolare, risale al 1202.

LE PORTE E L’INTERNO DEL BATTISTERO – La porta sud, di Andrea Pisano, è la più antica delle tre (1330), è suddivisa in 28 formelle: nelle 20 superiori sono raffigurati episodi della vita del Battista, patrono del capoluogo toscano, in quelle inferiori l’Umiltà e le Virtù cardinali e teologali. La porta nord, opera di Lorenzo Ghiberti (1403-24), reca nelle formelle superiori scene del Nuovo Testamento, nelle otto inferiori gli Evangelisti e i Padri della Chiesa: lo stile, ancora tardogotico, evidenzia un notevole realismo delle fisionomie. La porta est, chiamata da Michelangelo del Paradiso, è una coppia dell’originale, in mostra presso il Museo dell’Opera di S. Maria del Fiore. Commissionata al GHiberti nel 1425, rivala nelle dieci formelle con scene del Vecchio Testamento la maestria e la personalità raggiunte dall’eclettico artista fiorentino, apprezzato sia come scultore e architetto, sia nella veste di pittore.

La pianta ottagonale e la disposizione delle colonne all’interno ricordano il Pantheon di Roma. In mezzo all’ottagono centrale si trovava l’antico fonte battesimale, rimosso nel 1576 e sostiuito con un esemplare decorato da sei bassorilievi di scuola pisana (1371), collocato lungo la parete.

 A destra dell’abside è il sepolcro di Baldassarre Cossa, l’antipapa Giovanni XXIII, mirabile opera di Donatello eseguita in collaborazione con Michelozzo. Completano il palinsesto decorativo le splendide tessere dorate dei mosaici (secolo XIII) dell’abside e della cupola, influenza bizantina.

lunedì 26 settembre 2011

Bratislava – La residenza barocca di Maria Teresa


Sorto nel IX secolo come caposaldo moravo sul Danubio, promosso poi a residenza reale, il castello di Bratislava, o Pressburg, come lo chiamavano un tempo gli Asburgo, fu tra le dimore predilette di Maria Teresa, il cui ricordo permea tuttora l’edificio.

CROCEVIA DI REGNI E CIVILTÀ – Pochi luoghi in Europa possono dirsi interessati da tante vicende storiche e culture diverse quanto Bratislava. La vita del suo castello ne è uno specchio fedele. Vi risedettero i re moravi, i sovrani ungheresi, quindi gli Asburgo. E l’edificio si adattò via via ai cambiamenti, cambiando di volta in volta nome (Bratislava, Pozsony, Pressburg), risorgendo ripetutamente dalle sue rovine e passando da cupa fortezza feudale a scintillante residenza barocca. Ancora oggi mantiene la sua vocazione, ospitando la presidenza della Repubblica Slovacca, nata dalla divisione in due stati della Cecoslovacchia, avvenuta nel 1993.

STORIA DI UNA CAPITALE – In un remoto passato il maggiore centro di questa regione dell’Est danubiano era Carnuntum, l’attuale Petronell, che tuttavia nell’alto medioevo cedette la supremazia a un nuovo centro abitato, situato nel punto in cui la Morava confluisce nel Danubio. Qui ebbero il loro punto di forza le dinastie slave del regno della Grande Moravia. E in questo luogo, indicato con il nome di Bratslaburgum, secondo gli Annali di Fulda redatti nel 907, un principe grande moravo avrebbe perso, nel 906, la battaglia decisiva contro una nuova, emergente, dinastia: quella ungherese degli Arpàd. Intorno all’anno Mille, il centro venne rifondato dal re d’Ungheria Stefano I il Santo. Nel 1291 ottenne i diritti di città e in seguito venne dotato di nuove fortificazioni, sotto Sigismondo di Lussemburgo (1368 – 1437), imperatore e re d’Ungheria dal 1387. Nel 1467, Mattia Corvino (1440 – 1490) vi fondò la prima università della regione, l’Academia Istropolitana (dal latino Istropolis, che significa ‘città del Danubio’).


UNA SVOLTA DECISIVA – Nel 1536 i regnanti ungheresi, duramente sconfitti dieci anni prima dai Turchi di Solomano a Mohàcs, decisero di trasferire a Bratislava la direzione politica del Paese e la sede dell’incoronazione. La situazione non cambiò neppure quando gli Asburgo assunsero il titolo di re d’Ungheria, fatta eccezione per una questione di toponomastica. A partire dal XVI secolo, infatti, la città fu conosciuta in Europa con il nome tedesco di Pressburg, a scapito di quello ungherese Pozsony: influsso diretto della lingua parlata dai nuovi sovrani.

Furono proprio gli Asburgo, soprattutto con Maria Teresa d’Austria nel Settecento, a lasciare la maggiore impronta sul castello che venne, tuttavia devastato da un furioso incendio nel 1811. Fino al 1784, Bratislava restò capitale del regno d’Ungheria, ruolo che in quell’epoca cedette a Budapest.

Dal 1920 al 1939 fu capoluogo della Slovaccia e, dal 1939 al 1945, capitale della Repubblica Slovacca, una funzione recuperata negli anni Novanta del XX secolo, dopo la scissione della Cecoslovacchia in Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca.

REGINA E SANTA – Nel 1208 si stipulò il contratto nuziale tra Elisabetta, figlia di Andrea II re d’Ungheria, e Ludovico IV, figlio del langravio di Turingia. All’epoca i due promessi sposi avevano rispettivamente uno e otto anni. Le nozze furono celebrate, ufficialmente solo nel 1221. Rimasta vedova nel 1227, Elisabetta, profondamente religiosa, divenne una delle prime terziarie francescane e si ritirò nel monastero di Kitzingen, quindi a Bamberga. Morì nel 1231, dopo un’esistenza interamente spesa in opere di carità a sostegno dei più deboli, grazie alla quale fu canonizzata nel 1235.

L’IMPERATRICE INTRAPRENDENTE – Figlia di Carlo VI e sua erede al trono, Maria Teresa nacque a Vienna nel 1717. Nel 1736 sposò Francesco Stefano di Lorena, dal quale ebbe sedici figli. Nel 1740, alla morte del padre, scoppiò una durissima guerra per la successione, al trono degli Asburgo. Maria Teresa conservò la corona ma fu costretta sia a riconoscere la nuova realtà politico-militare prussiana sia a comprendere la necessità di riforme interne che garantissero forza e coesione. L’imperatrice iniziò quindi una fase di riforme, soprattutto nei settori di finanze e della giustizia. Nel 1761 istituì il Consiglio di Stato e il catasto, alleviò i gravami fiscali sui contadini e rivedette, suscitando qualche malumore, i privilegi dei monasteri. Nel 1765 nominò correggente il figlio Giuseppe, ma non abbandonò il suo ruolo. Con qualche concessione territoriale, si oppose a uno scontro con la Russia nei Balcani e cercò di difendere la pace in occasione della spartizione della Polonia, nel 1772, e del tentativo di annessione della Baviera, caldeggiato dal figlio, desideroso di affrancarsi dalla tutela materna. Promotrice dell’ordine di Maria Teresa, un ordine cavalleresco di carattere essenzialmente militare, istituito nel 1775 e soppresso solo nel 1919, Maria Teresa morì nel 1780, dopo quarant’anni di regno. Verrà ricordata come uno dei più grandi sovrani asburgici.

UN CASTELLO DI ‘RAPPRESENTANZA’ – Si accede al castello (Hrad) con un percorso diretto che porta a una scalinata da dove, in alcuni punti, si può ammirare uno splendido panorama sulla città e sul Danubio.

Sul lato orientale del complesso rimane tuttora una basilica del IX secolo, costruita allorché il castello apparteneva ai grandi re moravi. Il pianterreno risale alla prima metà del Quattrocento, all’epoca di Sigismondo di Lussemburgo.

Oltre al castello, nella città è particolarmente interessante il Palazzo primaziale. Al primo piano nella sala degli Specchi, il 26 dicembre 1805, Napoleone e Francesco II d’Austria firmarono, dopo la battaglia di Austerlitz, la pace di Presburgo.

La cattedrale di San Martino, la cui prima edificazione risale al XII secolo, fu, dal 1563 al 1580, la sede delle cerimonie di incoronazione dei sovrani ungheresi.

domenica 25 settembre 2011

Pau – La culla della dinastia borbonica


Il castello di Pau, nella Francia sudoccidentale, è noto soprattutto per aver dato i natali a Enrico IV, capo degli ugonotti protestanti, assurto alla dignità di re di Francia nel 1589. La sua importanza e bellezza tuttavia dovrebbero bastare da sole a dargli il rango che gli spetta.

GASTONE III FEBO DI FOIX, ARTISTA E POLITICO SPREGIUDICATO – I conti di Foix, divennero signori di Pau, dove avrebbero posto la loro dimora principale, alla fine del Duecento. Il principale esponente fu Gastone III Febo (1331 – 1391), poeta e compositore, grande e ispirato mecenante, ma nel contempo politico senza scrupoli, responsabile della morte cruente del fratello e del suo stesso figlio. Durante il suo dominio l’antica rocca cittadina dei precedenti proprietari, i signori di Moncade, fu trasformata in possente castello dall’architetto Sicard de Lordat.

MARGHERITA DI ANGOULÈME E GIOVANNI CALVINO – Nel 1527 Margherita d’Angoulème, sorella del re francese Francesco I, sposò in seconde nozze il sovrano di Navarra, Enrico d’Albret, e scelse come residenza il castello di Pau, apportando notevoli mutamenti alla struttura. Qui ebbe contatti con il riformatore Giovanni Calvino (1509 – 1564) e si convertì segretamente alla nuova confessione: fece tradurre preghiere e canti religiosi in francese e nella sua cappella privata si celebravano funzioni secondo il rito evangelico. La dinastia di Navarra divenne così punto di riferimento del protestantesimo francese.
Antonio di Borbone

Giovanna III di Navarra
   IL BUON RE ENRICO – Il nipote di Margherita, Enrico IV, lasciò nel 1587 Pau, dove non sarebbe più tornato, per le successive vicende che l’avrebbero portato sul trono. Figlio del duca di Borbone, diede questo nome alla nuova dinastia che con lui iniziava, annoverando in seguito grandi re come Luigi XIV.

Le Bon Roi Henri
Passò alla storia come Le Bon Roi Henri, il ‘buon re Enrico’, pacificatore della contesa religiosa tra francesi, dopo decenni di terribili lotte fratricide. Nel 1598 promulgò l’editto di Nantes, che riconosceva libertà di fede e una sostanziale parità fra le diverse religioni. Resta famosa la frase con cui sintetizzò il proprio programma politico: “Voglio che i contadini francesi stiano così bene da avere ogni domenica pollo in pentola”.


ALCÀZAR FRANCESE – I restauri (in realtà, in molti casi, veri e propri rifacimenti) apportati nell’Ottocento hanno molto trasformato l’antico castello dei conti di Foix. Tuttavia l’impianto e, se si prescinde dalle incrostazioni romantiche, anche le strutture murarie dell’edificio sono tutto sommato ancora quelli originali. Si tratta di una fortificazione irregolare, con al centro un cortile trapezoidale, collocata su una piccola ma ripida ‘motta’ – cioè un monticello di terra spianato alla sommità – a dominio della città e del fiume ai suoi piedi. È, per tipologia e funzioni, un insieme molto simile agli Alcàzar spagnoli: dopo tutto, i Pirenei non sono lontani.

“VINCERE O MORIRE” – Enrico IV, nipote di Margherita di Angoulème e figlio del duca Antonio di Borbone, era legatissimo al suo posto di nascita. All’ottavo mese di gravidanza sua madre Giovanna III d’Albret intraprese un faticoso viaggio di 19 giorni solo per partorire a Pau. Quando il bambino venne alla luce, il 13 dicembre 1553, secondo l’usanza locale gli furono sfregate le labbra con aglio e vino di Jurançon. Nel 1560 Giovanna, come sua madre, aderì al protestantesimo e cominciò a educare il figlio secondo questa dottrina. Poi, fino all’età di 14 anni, Enrico fu trasferito alla corte reale, come prevedeva la legge per i possibili eredi al trono.

Già da piccolo egli aveva scritto nei suoi quaderni di studio il motto latino Aut vincere aut mori, vincere o morire.  Alla fine vinse, ma rischiò di morire. Era ancora assai giovane quando assunse il comando degli ugonotti e del loro esercito, affrontando una situazione difficile che ben presto sembrò diventare catastrofica. In occasione delle proprie nozze fu costretto, in quanto protestante, a fermarsi sulla soglia della cattedrale di Notre-Dame, a Parigi, mentre la moglie Margherita di Valois, sorella del re Carlo IX, pronunciava il sì davanti all’altare. Nella notte seguente (tristemente nota come la Notte di San Bartolomeo, tra il 23 e il 24 agosto 1572) migliaia di ugonotti furono massacrati a Parigi e in tutta la Francia per ordine della regina madre Caterina de’ Medici.

Enrico riuscì a salvarsi solo abiurando la propria fede evangelica. Ma solo dopo che nel 1593, a Saint-Denise, a nord di Parigi, si fu convertito ufficialmente al cattolicesimo, poté finalmente entrare a Parigi per assumere il titolo che gli spettava. “Parigi – disse – valeva bene una messa”.

LO SPITIRO ELEGANTE DEL RINASCIMENTO – Il donjon, il poderoso mastio a sinistra dell’ingresso, risale all’epoca di Gastone Febo. La torre di Montauser che svetta sulla destra è invece un residuo dell’originale rocca duecentesca, allora appartenente ai signori di Moncade.

Il castello custodisce una collezione di pregevoli arazzi fiamminghi.

Il Musée Régional Béarnaise, al terzo piano, informa dettagliatamente sulla storia e la cultura della regione di Pau.

Nel Musée des Beaux-Arts di Pau si possono ammirare un notevole Giudizio universale di Pieters Paul Rubens, L’ufficio dei cotoni a New Orleans di Edgar Degas e opere di El Greco.

Numerosi lavori furono svolti negli anni Sessanta del XIX secolo, per volontà di Napoleone III. Risale a quell’epoca la veste attuale del complesso.
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